mercoledì 30 novembre 2016

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v05mztlh6affb — Write.asdell’esistenza si affacciano già i due temi che la seconda fase della riflessione heideggeriana assumerà come centrali: 1) la nuova
impostazione del problema dell’essere – che la centralità dell’esserci trasforma rifiutando la vecchia nozione metafisica dell’essere
come semplice presenza: l’uomo non si pone di fronte all’essere come di fronte ad un oggetto, ma affronta il problema dell’essere a
partire da se stesso – e le modalità attraverso cui si realizza l’essere-nel-mondo. Questo stato si attua grazie alla compresenza di tre
fattori, cioè l’uomo vive la propria realtà attraverso tre tipi di esperienza: la “comprensione” (perché le cose si presentano all’uomo
sempre dotate di senso); il “discorso” (perché il rapporto fra l’uomo e le cose è sempre espresso attraverso il linguaggio); e la
“situazione emotiva” (perché l’uomo vive nel mondo sempre accompagnato da una tonalità
emotiva). L’esistenza, secondo Heidegger, può essere vissuta in due modi, quello autentico,
in cui si assume come orizzonte di ogni possibilità dell’esistenza il nostro “essere-per-lamorte”,
cioè il fatto che la morte è la possibilità più propria dell’esistenza, lo sfondo di ogni
esperienza realizzabile e di ogni progetto; e quello inautentico, in cui l’uomo nasconde a se
stesso la verità sul modo in cui vive nel mondo. Dall’analisi delle due forme di esistenza,
autentica ed inautentica, si scopre che la tonalità affettiva tipica dell’esistenza autentica è
l’angoscia, e il suo scopo è prendersi cura del mondo nella sua totalità, a partire dalle proprie
possibilità e dal proprio progetto. Il senso della cura, ciò che orienta la vita umana e da cui
essa non può prescindere è la temporalità, perché il progettare dell’uomo è esistere nel
tempo. La progettualità di cui Heidegger parla a proposito dell’esistenza è mondana e storica,
nel senso che l’uomo non può mai prescindere dalla propria situazione storica.
Nella visione heideggeriana, l’analitica esistenziale avrebbe dovuto essere solo un momento
preparatorio di un più vasto progetto filosofico che, però, non portò a termine, giudicandolo
sbagliato. D’altra parte, il pensatore non accettò mai per la sua filosofia la definizione di
“esistenzialista”, anche se la sua riflessione sarà importante per i teorici di questa corrente.
Contemporaneo di Heidegger, e come lui allievo di Husserl, fu Karl Jaspers, che pose alla
filosofia il compito fondamentale di “chiarire” l’esistenza, accettando anch’egli la nozione di
“situazione”, cioè la dimensione storica come condizione primitiva dell’essere. Lo sforzo di
questa attività chiarificatrice coincide con la tensione verso la trascendenza, che si manifesta
sempre in modo non esplicito, “in cifre”, come se fosse scritta in modo segreto. Lo
svelamento supremo di questa “cifra” è la fede, a cui l’uomo perviene dopo lo “scacco” subito
nelle “situazioni-limite”, quelle che rivelano la sua impotenza, in modo particolare quando diviene consapevole di non poter non
morire. In Francia, esponente di rilievo dell’esistenzialismo fu Gabriel-Honoré Marcel (uno dei maestri di Ricoeur che, come Jaspers,
ne accentuò la colorazione religiosa. Fra coloro che ne dettero, invece, una lettura laica, il più importante dei quali fu Jean-Paul Sartre.
Egli vedeva l’esistenza come una condizione di libertà assoluta e senza riserve, ma destinata inevitabilmente alla sconfitta proprio per
la sua caratteristica di permettere all’uomo di essere quello che vuole, senza dargli, però, alcun termine di riferimento. Il conflitto con
gli altri, la progettualità che si perde in un vuoto assoluto, la totale gratuità di ogni azione sono all’origine della “nausea” sartriana. A
questa visione, però, Sartre aggiunse, nel dopoguerra, una riflessione sul valore dell’impegno etico e politico per sconfiggere
l’alienazione, riflessione che culminerà nell’adesione critica al marxismo.
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