martedì 27 dicembre 2016

verità-dell'evento

verità-dell'eventoeventustability eventustabilità È poetantEVENTO creativo creativa Exstasi In sé. EssereCreatorEVENTO L'è è in sé esserC'EVENTO pensantEVENTOd'incertezza. Paradigma d'incertezza d'esserci crea poEtare è pensareVEntità in sé C'è vi è crea'arte crea'infinitità. L'EVENTO crea'art'EVENTO Kata'EVENTità creativ'EVENTO Nullità'EVENTO in sé spaziotempora in sé DEA'EVENTO MeTa'EVENTO-nel-mondo Pensant'EVENTO spazioTEmpora'EVENTO essere!in sé metafisika-della-Katastrofe o Katastrofe della metafisika ontologia della Katastrof'EVENTustability in sé essere-nel-nulla già-essere già-esserci dà fenoumeneventità già-esserne È nello spaziotempora eventux-nella-mondità. È fondamento fenoumeno in sé. L'EVENTO CrEa fenoumeno in sé Nullità iN sé In'EVENTITà creatività. EVENTO Crea exstasyx è il nulla solo nulla nel nulla in sé nulla vuoto è nulla. MetaEVENTO-è il nulla. EsserEVENTità al di là Poetante Creatività essere-nella-eventualità è epifenoumenouSia metapolix ontopolix. È nukleousia. Essere-nella-creatività essere-nell'Eventualità è EVENTO dello spaziotempo nello spaziotempora lì esserneEVENTualità in sé creatrice exstasiouxia fenoumenouxiax metapolix è'interEVENTO interpretEVENTità metaEVENTuaLità essere-nella-futurità è EVENTO metamondità metaEVENTualità creatrice. MetaEVENTuale creatrice in sé EVENTità'poetante filosofia dell'incertezza essere il Saperenulla è Essere metafUturità è superFUturità tranxFUturità ontoFUturità essere kataFUturità'CreaFUturità KataFUturità esserneFUturità In Sé già dà KataFUturità. MetaFUturità'ultima è DEVSFUturità exstasiFUturità metaFUturità'ultimità è in sé tranxFUturità superFUturità in sé già in sé Metafisika-dell'iNcertezza ricordo remoto della FUturità FUturity-recordx in sé FUturità è in sé sublimity-rekordx remota è eventy-rEkordx stability-rEkordx è risonanza-rekordx Futurity tranxsonanza-rekordx remota Dixssonanza-rekordx remota Katasonanza-rEkordx rEmota Metasonanza-rekordx remota radura C'è là in Sé di per sé è Sé in sé metaEVENTO creativo'ultimoEVENTO creA EVENTO di creatività. MetAEVENTO o interpretEVENTO è KatastrofEVENTUX è eventustability l'è creaturEVENTO EvEntustabilità. In sé la scienza-filosofeggia-senza-filosofia là si crea EVENTO è esserCi la scienza filosofeggia senza metafilosofia. Creare Spazio è EVENTO è spaziotempora exstaticità spazialEVENTO creativEVENTità è spazialEVENTO esserne spazialEVENTità exstaticità d'EVENTità creazionEVENTO è EVENTustabilità metaEVENTO'ultimoEVENTO è In sé La creazionEVENTUstability la creazionEVENTO è exstaticoEVENTO KataEVENTO stAbilità della creazionEVENTOpoiesix EVENTOpoetAnte vi è c'è Poiesix Pensante Metacreatrix crea CHOREVENTO MetamYSTIChEVENTO in sé. Là L'è CHOREVENTO esserneventua Metaeventità creazionEVENTO di creatività esserlì per creare lì la creatività crea spazialetempoa spazio gotico è già È Katastrofe della metafisika spazio spazialetempoRa in sé matematica creazione stile crea'architettura. Là È Katastrofe in sé aldilà di sé verità-dell'evento crea exstatica crea la creazione già nello spaziotempo spazialetempora crea lo spazio spaziale creazione in sé crea la creazione nella creazione crea Krea DeA poiesix è la creazione da sé creatività in sé crea creativo già crea futurità crea temporA

lunedì 26 dicembre 2016

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eventontology — deked14f8y7we

eventontology — deked14f8y7weverità-dell'evento- la verità: la verità dell'evento, la verità dell'essere, o
meglio, la verità dell'e​vento che è rivelativa della verità dell'essere
... che sospende il tempo come se nel puro cristallo dell'evento raffigurato fosse
in opera l'eternità («as doth eternity»). ... Che la bellezza sia verità, e la verità
bellezza, è un'estasi del pensiero

martedì 20 dicembre 2016

Hai 43 chat che ti attendono in Evernote!

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domenica 18 dicembre 2016

mercoledì 14 dicembre 2016

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lunedì 12 dicembre 2016

Hai 42 chat che ti attendono in Evernote!

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venerdì 9 dicembre 2016

giacinto plescia di monderose · Swite

giacinto plescia di monderose · Swite heideggeriana (verità=espressione), la fine della metafisica è fine 'ontologia dell'incertezza contra versux la metafisica dell'incertezza.....heideggeriana verità la fine della metafisica è fine 'ontologia dell'incertezza versux la metafisica dell'incertezza....

lunedì 5 dicembre 2016

zi3us6p8ml9d7 — Write.as

zi3us6p8ml9d7 — Write.as È poetantEVENTO creativo creativa Exstasi In sé. EssereCreatorEVENTO L'è è in sé esserC'EVENTO pensantEVENTOd'incertezza. Paradigma d'incertezza d'esserci creArte . Di sé C'è vi è creazione crea creazione Krisi-della-scienza crea in sé spaziotempo in sé ESSere-nel-nulla già-essere- nulla in sé in sé È spazio. È in sé in sé elasticità l'exstasi è il nulla solo il nulla nel nulla eventux nel mondo il nulla vuoto è nulla - è il nulla. Essere al di là È spaziotempora in sé creativa poetantessere

mercoledì 30 novembre 2016

v05mztlh6affb — Write.as

v05mztlh6affb — Write.asdell’esistenza si affacciano già i due temi che la seconda fase della riflessione heideggeriana assumerà come centrali: 1) la nuova
impostazione del problema dell’essere – che la centralità dell’esserci trasforma rifiutando la vecchia nozione metafisica dell’essere
come semplice presenza: l’uomo non si pone di fronte all’essere come di fronte ad un oggetto, ma affronta il problema dell’essere a
partire da se stesso – e le modalità attraverso cui si realizza l’essere-nel-mondo. Questo stato si attua grazie alla compresenza di tre
fattori, cioè l’uomo vive la propria realtà attraverso tre tipi di esperienza: la “comprensione” (perché le cose si presentano all’uomo
sempre dotate di senso); il “discorso” (perché il rapporto fra l’uomo e le cose è sempre espresso attraverso il linguaggio); e la
“situazione emotiva” (perché l’uomo vive nel mondo sempre accompagnato da una tonalità
emotiva). L’esistenza, secondo Heidegger, può essere vissuta in due modi, quello autentico,
in cui si assume come orizzonte di ogni possibilità dell’esistenza il nostro “essere-per-lamorte”,
cioè il fatto che la morte è la possibilità più propria dell’esistenza, lo sfondo di ogni
esperienza realizzabile e di ogni progetto; e quello inautentico, in cui l’uomo nasconde a se
stesso la verità sul modo in cui vive nel mondo. Dall’analisi delle due forme di esistenza,
autentica ed inautentica, si scopre che la tonalità affettiva tipica dell’esistenza autentica è
l’angoscia, e il suo scopo è prendersi cura del mondo nella sua totalità, a partire dalle proprie
possibilità e dal proprio progetto. Il senso della cura, ciò che orienta la vita umana e da cui
essa non può prescindere è la temporalità, perché il progettare dell’uomo è esistere nel
tempo. La progettualità di cui Heidegger parla a proposito dell’esistenza è mondana e storica,
nel senso che l’uomo non può mai prescindere dalla propria situazione storica.
Nella visione heideggeriana, l’analitica esistenziale avrebbe dovuto essere solo un momento
preparatorio di un più vasto progetto filosofico che, però, non portò a termine, giudicandolo
sbagliato. D’altra parte, il pensatore non accettò mai per la sua filosofia la definizione di
“esistenzialista”, anche se la sua riflessione sarà importante per i teorici di questa corrente.
Contemporaneo di Heidegger, e come lui allievo di Husserl, fu Karl Jaspers, che pose alla
filosofia il compito fondamentale di “chiarire” l’esistenza, accettando anch’egli la nozione di
“situazione”, cioè la dimensione storica come condizione primitiva dell’essere. Lo sforzo di
questa attività chiarificatrice coincide con la tensione verso la trascendenza, che si manifesta
sempre in modo non esplicito, “in cifre”, come se fosse scritta in modo segreto. Lo
svelamento supremo di questa “cifra” è la fede, a cui l’uomo perviene dopo lo “scacco” subito
nelle “situazioni-limite”, quelle che rivelano la sua impotenza, in modo particolare quando diviene consapevole di non poter non
morire. In Francia, esponente di rilievo dell’esistenzialismo fu Gabriel-Honoré Marcel (uno dei maestri di Ricoeur che, come Jaspers,
ne accentuò la colorazione religiosa. Fra coloro che ne dettero, invece, una lettura laica, il più importante dei quali fu Jean-Paul Sartre.
Egli vedeva l’esistenza come una condizione di libertà assoluta e senza riserve, ma destinata inevitabilmente alla sconfitta proprio per
la sua caratteristica di permettere all’uomo di essere quello che vuole, senza dargli, però, alcun termine di riferimento. Il conflitto con
gli altri, la progettualità che si perde in un vuoto assoluto, la totale gratuità di ogni azione sono all’origine della “nausea” sartriana. A
questa visione, però, Sartre aggiunse, nel dopoguerra, una riflessione sul valore dell’impegno etico e politico per sconfiggere
l’alienazione, riflessione che culminerà nell’adesione critica al marxismo.
23

martedì 29 novembre 2016

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lunedì 28 novembre 2016

(69) Giacinto Plexux Di Monderose

(69) Giacinto Plexux Di Monderose























































































































































































































































My Social Book
































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































Giacinto Plexux Di Monderose - 01 aprile 2015 - 31 dicembre 2015 - Anteprima libro
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Ecco una simulazione delle prime pagine del libro. Il tuo libro completo è formato da 72 pagine!





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domenica 27 novembre 2016

Il mio libro 2015 \"Facebook Best-Of\"

Il mio libro 2015 \"Facebook Best-Of\"

nn2cj7f25ga84 — Write.as

nn2cj7f25ga84 — Write.asA» Hei­deg­ger, nel 1953 a Monaco, do­ve i due – al­la pre­sen­za di un al­tro gran­de e di­scus­so in­tel­let­tua­le te­de­sco, Ern­st Jün­ger – ri­flet­to­no sul­la tec­ni­ca (non più «pro­dot­to di sfor­zi uma­ni con­sa­pe­vo­li», di­rà Hei­sen­berg, ma «even­to bio­lo­gi­co su lar­ga sca­la… per sua na­tu­ra sot­trat­to al con­trol­lo dell’uo­mo»).
A dia­lo­ga­re a di­stan­za con Hei­sen­berg è uno stu­den­te di fi­lo­so­fia (al­ter ego dell’au­to­re), che, al­la vi­gi­lia del­la ca­du­ta del Mu­ro di Ber­li­no, de­ve af­fron­ta­re un esa­me uni­ver­si­ta­rio sul­le ope­re fi­lo­so­fi­che del­lo scien­zia­to te­de­sco. L’esa­me an­drà ma­le, ma il gio­va­ne, ab­ban­do­na­ti gli stu­di uma­ni­sti­ci e di­ven­ta­to un uo­mo d’af­fa­ri, pro­se­gui­rà nel­la sua fre­quen­ta­zio­ne idea­le del fon­da­to­re del­la mec­ca­ni­ca quan­ti­sti­ca, con­ti­nuan­do a in­ter­ro­gar­lo e a con­fron­tar­si con lui. Il rac­con­to che ne vie­ne fuo­ri ha una strut­tu­ra di­scon­ti­nua, per bal­zi tem­po­ra­li, e non po­treb­be es­se­re di­ver­sa­men­te, da­to che «la nuo­va fi­si­ca […] ha fat­to esplo­de­re tut­te le li­nee con­ti­nue in una se­rie spez­za­ta di av­ve­ni­men­ti di­scre­ti se­pa­ra­ti da oscu­ri ba­ra­tri» e «for­se nean­che la li­nea del tem­po è sta­ta ri­spar­mia­ta». Sal­tan­do da uno sta­to quan­ti­co a un al­tro, in­con­tria­mo gli Hei­sen­berg suc­ce­du­ti­si nel tem­po: lo scien­zia­to in­si­gne e ce­le­bra­to, il pa­trio­ta fe­de­le al­la Ger­ma­nia di Hi­tler, il lea­der del pro­get­to nu­clea­re na­zi­sta, il pri­gio­nie­ro a Farm Hall (do­ve i fi­si­ci te­de­schi ap­pren­do­no di es­se­re sta­ti bat­tu­ti da­gli ame­ri­ca­ni nel­la cor­sa al­la bom­ba ato­mi­ca). Fi­no al Wer­ner Hei­sen­berg pre­co­ce­men­te in­vec­chia­to del Do­po­guer­ra, che ri­flet­te sul de­sti­no del­la scien­za e dell’uma­ni­tà: me­mo­ra­bi­le, e splen­di­da­men­te rap­pre­sen­ta­to, è il suo in­con­tro con Hei­deg­ger, nel 1953 a Monaco, do­ve i due – al­la pre­sen­za di un al­tro gran­de e di­scus­so in­tel­let­tua­le te­de­sco, Ern­st Jün­ger – ri­flet­to­no sul­la tec­ni­ca (non più «pro­dot­to di sfor­zi uma­ni con­sa­pe­vo­li», di­rà Hei­sen­berg, ma «even­to bio­lo­gi­co su lar­ga sca­la… per sua na­tu­ra sot­trat­to al con­trol­lo dell’uo­mo»).
A dia­lo­ga­re a di­stan­za con Hei­sen­berg è uno stu­den­te di fi­lo­so­fia (al­ter ego dell’au­to­re), che, al­la vi­gi­lia del­la ca­du­ta del Mu­ro di Ber­li­no, de­ve af­fron­ta­re un esa­me uni­ver­si­ta­rio sul­le ope­re fi­lo­so­fi­che del­lo scien­zia­to te­de­sco. L’esa­me an­drà ma­le, ma il gio­va­ne, ab­ban­do­na­ti gli stu­di uma­ni­sti­ci e di­ven­ta­to un uo­mo d’af­fa­ri, pro­se­gui­rà nel­la sua fre­quen­ta­zio­ne idea­le del fon­da­to­re del­la mec­ca­ni­ca quan­ti­sti­ca, con­ti­nuan­do a in­ter­ro­gar­lo e a con­fron­tar­si con lui. Il rac­con­to che ne vie­ne fuo­ri ha una strut­tu­ra di­scon­ti­nua, per bal­zi tem­po­ra­li, e non po­treb­be es­se­re di­ver­sa­men­te, da­to che «la nuo­va fi­si­ca […] ha fat­to esplo­de­re tut­te le li­nee con­ti­nue in una se­rie spez­za­ta di av­ve­ni­men­ti di­scre­ti se­pa­ra­ti da oscu­ri ba­ra­tri» e «for­se nean­che la li­nea del tem­po è sta­ta ri­spar­mia­ta». Sal­tan­do da uno sta­to quan­ti­co a un al­tro, in­con­tria­mo gli Hei­sen­berg suc­ce­du­ti­si nel tem­po: lo scien­zia­to in­si­gne e ce­le­bra­to, il pa­trio­ta fe­de­le al­la Ger­ma­nia di Hi­tler, il lea­der del pro­get­to nu­clea­re na­zi­sta, il pri­gio­nie­ro a Farm Hall (do­ve i fi­si­ci te­de­schi ap­pren­do­no di es­se­re sta­ti bat­tu­ti da­gli ame­ri­ca­ni nel­la cor­sa al­la bom­ba ato­mi­ca). Fi­no al Wer­ner Hei­sen­berg pre­co­ce­men­te in­vec­chia­to del Do­po­guer­ra, che ri­flet­te sul de­sti­no del­la scien­za e dell’uma­ni­tà: me­mo­ra­bi­le, e splen­di­da­men­te rap­pre­sen­ta­to, è il suo in­con­tro con Hei­deg­ger, nel 1953 a Monaco, do­ve i due – al­la pre­sen­za di un al­tro gran­de e di­scus­so in­tel­let­tua­le te­de­sco, Ern­st Jün­ger – ri­flet­to­no sul­la tec­ni­ca (non più «pro­dot­to di sfor­zi uma­ni con­sa­pe­vo­li», di­rà Hei­sen­berg, ma «even­to bio­lo­gi­co su lar­ga sca­la… per sua na­tu­ra sot­trat­to al con­trol­lo dell’uo­mo»).
A dia­lo­ga­re a di­stan­za con Hei­sen­berg è uno stu­den­te di fi­lo­so­fia (al­ter ego dell’au­to­re), che, al­la vi­gi­lia del­la ca­du­ta del Mu­ro di Ber­li­no, de­ve af­fron­ta­re un esa­me uni­ver­si­ta­rio sul­le ope­re fi­lo­so­fi­che del­lo scien­zia­to te­de­sco. L’esa­me an­drà ma­le, ma il gio­va­ne, ab­ban­do­na­ti gli stu­di uma­ni­sti­ci e di­ven­ta­to un uo­mo d’af­fa­ri, pro­se­gui­rà nel­la sua fre­quen­ta­zio­ne idea­le del fon­da­to­re del­la mec­ca­ni­ca quan­ti­sti­ca, con­ti­nuan­do a in­ter­ro­gar­lo e a con­fron­tar­si con lui. Il rac­con­to che ne vie­ne fuo­ri ha una strut­tu­ra di­scon­ti­nua, per bal­zi tem­po­ra­li, e non po­treb­be es­se­re di­ver­sa­men­te, da­to che «la nuo­va fi­si­ca […] ha fat­to esplo­de­re tut­te le li­nee con­ti­nue in una se­rie spez­za­ta di av­ve­ni­men­ti di­scre­ti se­pa­ra­ti da oscu­ri ba­ra­tri» e «for­se nean­che la li­nea del tem­po è sta­ta ri­spar­mia­ta». Sal­tan­do da uno sta­to quan­ti­co a un al­tro, in­con­tria­mo gli Hei­sen­berg suc­ce­du­ti­si nel tem­po: lo scien­zia­to in­si­gne e ce­le­bra­to, il pa­trio­ta fe­de­le al­la Ger­ma­nia di Hi­tler, il lea­der del pro­get­to nu­clea­re na­zi­sta, il pri­gio­nie­ro a Farm Hall (do­ve i fi­si­ci te­de­schi ap­pren­do­no di es­se­re sta­ti bat­tu­ti da­gli ame­ri­ca­ni nel­la cor­sa al­la bom­ba ato­mi­ca). Fi­no al Wer­ner Hei­sen­berg pre­co­ce­men­te in­vec­chia­to del Do­po­guer­ra, che ri­flet­te sul de­sti­no del­la scien­za e dell’uma­ni­tà: me­mo­ra­bi­le, e splen­di­da­men­te rap­pre­sen­ta­to, è il suo in­con­tro con Hei­deg­ger, nel 1953 a Monaco, do­ve i due – al­la pre­sen­za di un al­tro gran­de e di­scus­so in­tel­let­tua­le te­de­sco, Ern­st Jün­ger – ri­flet­to­no sul­la tec­ni­ca (non più «pro­dot­to di sfor­zi uma­ni con­sa­pe­vo­li», di­rà Hei­sen­berg, ma «even­to bio­lo­gi­co su lar­ga sca­la… per sua na­tu­ra sot­trat­to al con­trol­lo dell’uo­mo»).
A dia­lo­ga­re a di­stan­za con Hei­sen­berg è uno stu­den­te di fi­lo­so­fia (al­ter ego dell’au­to­re), che, al­la vi­gi­lia del­la ca­du­ta del Mu­ro di Ber­li­no, de­ve af­fron­ta­re un esa­me uni­ver­si­ta­rio sul­le ope­re fi­lo­so­fi­che del­lo scien­zia­to te­de­sco. L’esa­me an­drà ma­le, ma il gio­va­ne, ab­ban­do­na­ti gli stu­di uma­ni­sti­ci e di­ven­ta­to un uo­mo d’af­fa­ri, pro­se­gui­rà nel­la sua fre­quen­ta­zio­ne idea­le del fon­da­to­re del­la mec­ca­ni­ca quan­ti­sti­ca, con­ti­nuan­do a in­ter­ro­gar­lo e a con­fron­tar­si con lui. Il rac­con­to che ne vie­ne fuo­ri ha una strut­tu­ra di­scon­ti­nua, per bal­zi tem­po­ra­li, e non po­treb­be es­se­re di­ver­sa­men­te, da­to che «la nuo­va fi­si­ca […] ha fat­to esplo­de­re tut­te le li­nee con­ti­nue in una se­rie spez­za­ta di av­ve­ni­men­ti di­scre­ti se­pa­ra­ti da oscu­ri ba­ra­tri» e «for­se nean­che la li­nea del tem­po è sta­ta ri­spar­mia­ta». Sal­tan­do da uno sta­to quan­ti­co a un al­tro, in­con­tria­mo gli Hei­sen­berg suc­ce­du­ti­si nel tem­po: lo scien­zia­to in­si­gne e ce­le­bra­to, il pa­trio­ta fe­de­le al­la Ger­ma­nia di Hi­tler, il lea­der del pro­get­to nu­clea­re na­zi­sta, il pri­gio­nie­ro a Farm Hall (do­ve i fi­si­ci te­de­schi ap­pren­do­no di es­se­re sta­ti bat­tu­ti da­gli ame­ri­ca­ni nel­la cor­sa al­la bom­ba ato­mi­ca). Fi­no al Wer­ner Hei­sen­berg pre­co­ce­men­te in­vec­chia­to del Do­po­guer­ra, che ri­flet­te sul de­sti­no del­la scien­za e dell’uma­ni­tà: me­mo­ra­bi­le, e splen­di­da­men­te rap­pre­sen­ta­to, è il suo in­con­tro con Hei­deg­ger, nel 1953 a Monaco, do­ve i due – al­la pre­sen­za di un al­tro gran­de e di­scus­so in­tel­let­tua­le te­de­sco, Ern­st Jün­ger – ri­flet­to­no sul­la tec­ni­ca (non più «pro­dot­to di sfor­zi uma­ni con­sa­pe­vo­li», di­rà Hei­sen­berg, ma «even­to bio­lo­gi­co su lar­ga sca­la… per sua na­tu­ra sot­trat­to al con­trol­lo dell’uo­mo»).
Ol­tre la spal­la di Dio, nei gior­ni di Hel­go­land, A si­ni­stra Wer­ner Hei­sen­berg nel 1953 a Monaco con Mar­tin Hei­deg­ger (sot­to) e Ern­st Jün­ger a de­stra. Hei­sen­berg vin­se il No­bel nel 1932
Hei­sen­berg sco­pre che la real­tà, nei suoi aspetti più pro­fon­di, è in­con­ce­pi­bi­le nei ter­mi­ni del­la fi­si­ca tra­di­zio­na­le e dell’espe­rien­za co­mu­ne; si ren­de con­to, con la di­sin­vol­tu­ra ti­pi­ca del­la gio­vi­nez­za ma non sen­za una cer­ta in­quie­tu­di­ne, che «non ri­man­go­no ve­sti­gia del mon­do de­scri­vi­bi­li nel lin­guag­gio de­gli uo­mi­ni, c’è so­lo la for­ma pal­li­da dei ma­te­ma­ti­ci, si­len­zio­sa e te­mi­bi­le, c’è la pu­rez­za del­le sim­me­trie, lo splen­do­re astrat­to del­la ma­tri­ce eter­na». Due an­ni do­po, ten­ta di ren­de­re tut­to ciò “vi­sua­liz­za­bi­le” ( an­schau­li­ch) con il suo prin­ci­pio di “in­de­ter­mi­na­zio­ne”, o di “in­cer­tez­za” ( Un­be­stimm­theit è il ter­mi­ne ori­gi­na­le te­de­sco), che dà il ti­to­lo al ro­man­zo: la po­si­zio­ne e la ve­lo­ci­tà di una par­ti­cel­la (e al­tre cop­pie di gran­dez­ze co­niu­ga­te) non pos­so­no es­se­re mi­su­ra­te si­mul­ta­nea­men­te con as­so­lu­ta pre­ci­sio­ne; de­ter­mi­na­re esat­ta­men­te l’una si­gni­fi­ca con­dan­na­re l’al­tra al­la to­ta­le va­ghez­za. Non si trat­ta di un im­pe­di­men­to spe­ri­men­ta­le, ma di un li­mi­te in­trin­se­co del­la na­tu­ra e de­gli stes­si con­cet­ti che usia­mo per rap­pre­sen­tar­la: una sco­per­ta dif­fi­ci­le da espri­me­re a pa­ro­le, che «si ren­de di col­po com­pren­si­bi­le in un’equa­zio­ne tal­men­te sem­pli­ce e con­ci­sa da ma­sche­ra­re la pro­pria tos­si­ci­tà».
Hei­sen­berg sco­pre che la real­tà, nei suoi aspetti più pro­fon­di, è in­con­ce­pi­bi­le nei ter­mi­ni del­la fi­si­ca tra­di­zio­na­le e dell’espe­rien­za co­mu­ne; si ren­de con­to, con la di­sin­vol­tu­ra ti­pi­ca del­la gio­vi­nez­za ma non sen­za una cer­ta in­quie­tu­di­ne, che «non ri­man­go­no ve­sti­gia del mon­do de­scri­vi­bi­li nel lin­guag­gio de­gli uo­mi­ni, c’è so­lo la for­ma pal­li­da dei ma­te­ma­ti­ci, si­len­zio­sa e te­mi­bi­le, c’è la pu­rez­za del­le sim­me­trie, lo splen­do­re astrat­to del­la ma­tri­ce eter­na». Due an­ni do­po, ten­ta di ren­de­re tut­to ciò “vi­sua­liz­za­bi­le” ( an­schau­li­ch) con il suo prin­ci­pio di “in­de­ter­mi­na­zio­ne”, o di “in­cer­tez­za” ( Un­be­stimm­theit è il ter­mi­ne ori­gi­na­le te­de­sco), che dà il ti­to­lo al ro­man­zo: la po­si­zio­ne e la ve­lo­ci­tà di una par­ti­cel­la (e al­tre cop­pie di gran­dez­ze co­niu­ga­te) non pos­so­no es­se­re mi­su­ra­te si­mul­ta­nea­men­te con as­so­lu­ta pre­ci­sio­ne; de­ter­mi­na­re esat­ta­men­te l’una si­gni­fi­ca con­dan­na­re l’al­tra al­la to­ta­le va­ghez­za. Non si trat­ta di un im­pe­di­men­to spe­ri­men­ta­le, ma di un li­mi­te in­trin­se­co del­la na­tu­ra e de­gli stes­si con­cet­ti che usia­mo per rap­pre­sen­tar­la: una sco­per­ta dif­fi­ci­le da espri­me­re a pa­ro­le, che «si ren­de di col­po com­pren­si­bi­le in un’equa­zio­ne tal­men­te sem­pli­ce e con­ci­sa da ma­sche­ra­re la pro­pria tos­si­ci­tà».
Hei­sen­berg sco­pre che la real­tà, nei suoi aspetti più pro­fon­di, è in­con­ce­pi­bi­le nei ter­mi­ni del­la fi­si­ca tra­di­zio­na­le e dell’espe­rien­za co­mu­ne; si ren­de con­to, con la di­sin­vol­tu­ra ti­pi­ca del­la gio­vi­nez­za ma non sen­za una cer­ta in­quie­tu­di­ne, che «non ri­man­go­no ve­sti­gia del mon­do de­scri­vi­bi­li nel lin­guag­gio de­gli uo­mi­ni, c’è so­lo la for­ma pal­li­da dei ma­te­ma­ti­ci, si­len­zio­sa e te­mi­bi­le, c’è la pu­rez­za del­le sim­me­trie, lo splen­do­re astrat­to del­la ma­tri­ce eter­na». Due an­ni do­po, ten­ta di ren­de­re tut­to ciò “vi­sua­liz­za­bi­le” ( an­schau­li­ch) con il suo prin­ci­pio di “in­de­ter­mi­na­zio­ne”, o di “in­cer­tez­za” ( Un­be­stimm­theit è il ter­mi­ne ori­gi­na­le te­de­sco), che dà il ti­to­lo al ro­man­zo: la po­si­zio­ne e la ve­lo­ci­tà di una par­ti­cel­la (e al­tre cop­pie di gran­dez­ze co­niu­ga­te) non pos­so­no es­se­re mi­su­ra­te si­mul­ta­nea­men­te con as­so­lu­ta pre­ci­sio­ne; de­ter­mi­na­re esat­ta­men­te l’una si­gni­fi­ca con­dan­na­re l’al­tra al­la to­ta­le va­ghez­za. Non si trat­ta di un im­pe­di­men­to spe­ri­men­ta­le, ma di un li­mi­te in­trin­se­co del­la na­tu­ra e de­gli stes­si con­cet­ti che usia­mo per rap­pre­sen­tar­la: una sco­per­ta dif­fi­ci­le da espri­me­re a pa­ro­le, che «si ren­de di col­po com­pren­si­bi­le in un’equa­zio­ne tal­men­te sem­pli­ce e con­ci­sa da ma­sche­ra­re la pro­pria tos­si­ci­tà».
Sa­reb­be sta­to co­mo­do, ma cer­ta­men­te ba­na­le, co­strui­re una nar­ra­zio­ne at­tor­no al­le tan- te sug­ge­stio­ni che pa­ro­le co­me “in­de­ter­mi­na­zio­ne” o “in­cer­tez­za” (in­ca­sto­na­ti pe­ral­tro nel­la più enig­ma­ti­ca del­le teo­rie fi­si­che) pos­so­no su­sci­ta­re. Fer­ra­ri è scrit­to­re trop­po raf­fi­na­to per ca­de­re in que­sta trap­po­la; né d’al­tron­de si può pen­sa­re che il mon­do de­gli ato­mi stra­ri­pi a tal pun­to da sco­lo­ri­re e ren­de­re sfu­ma­to tut­to, com­pre­si i pen­sie­ri, che «pos­so­no es­se­re per­fi­no con­trad­dit­to­ri, ma non so­no in­de­ter­mi­na­ti». Il prin­ci­pio non è lo svol­gi­men­to di una me­ta­fo­ra, ma un di­scor­so sul­le me­ta­fo­re, co­me uni­ca al­ter­na­ti­va che si of­fre a chi, guar­dan­do in fon­do al­le co­se, «si ri­fiu­ta di ri­sol­ver­si al si­len­zio». Il ve­ro te­ma del li­bro, in al­tri ter­mi­ni, è il lin­guag­gio. Hei­sen­berg è lo scien­zia­to che più di qua­lun­que al­tro ha in­te­so la pro­pria ri­cer­ca – in ma­nie­ra co­stan­te e si­ste­ma­ti­ca – co­me un’esplo­ra­zio­ne del­le po­ten­zia­li­tà e dei li­mi­ti del lin­guag­gio, e il ro­man­zo di Fer­ra­ri, so­fi­sti­ca­to co­me il suo sog­get­to, e tut­ta­via ric­co di pa­thos e di uma­ni­tà, ce lo ri­cor­da mol­to be­ne.
Sa­reb­be sta­to co­mo­do, ma cer­ta­men­te ba­na­le, co­strui­re una nar­ra­zio­ne at­tor­no al­le tan- te sug­ge­stio­ni che pa­ro­le co­me “in­de­ter­mi­na­zio­ne” o “in­cer­tez­za” (in­ca­sto­na­ti pe­ral­tro nel­la più enig­ma­ti­ca del­le teo­rie fi­si­che) pos­so­no su­sci­ta­re. Fer­ra­ri è scrit­to­re trop­po raf­fi­na­to per ca­de­re in que­sta trap­po­la; né d’al­tron­de si può pen­sa­re che il mon­do de­gli ato­mi stra­ri­pi a tal pun­to da sco­lo­ri­re e ren­de­re sfu­ma­to tut­to, com­pre­si i pen­sie­ri, che «pos­so­no es­se­re per­fi­no con­trad­dit­to­ri, ma non so­no in­de­ter­mi­na­ti». Il prin­ci­pio non è lo svol­gi­men­to di una me­ta­fo­ra, ma un di­scor­so sul­le me­ta­fo­re, co­me uni­ca al­ter­na­ti­va che si of­fre a chi, guar­dan­do in fon­do al­le co­se, «si ri­fiu­ta di ri­sol­ver­si al si­len­zio». Il ve­ro te­ma del li­bro, in al­tri ter­mi­ni, è il lin­guag­gio. Hei­sen­berg è lo scien­zia­to che più di qua­lun­que al­tro ha in­te­so la pro­pria ri­cer­ca – in ma­nie­ra co­stan­te e si­ste­ma­ti­ca – co­me un’esplo­ra­zio­ne del­le po­ten­zia­li­tà e dei li­mi­ti del lin­guag­gio, e il ro­man­zo di Fer­ra­ri, so­fi­sti­ca­to co­me il suo sog­get­to, e tut­ta­via ric­co di pa­thos e di uma­ni­tà, ce lo ri­cor­da mol­to be­ne.
A Got­tin­ga, in oc­ca­sio­ne del lo­ro pri­mo in­con­tro, Bohr spie­ga al gio­va­nis­si­mo Hei­sen­berg, an­co­ra stu­den­te, che la sua vo­ca­zio­ne di fi­si­co è an­che una vo­ca­zio­ne di poe­ta, per­ché nel mon­do de­gli ato­mi il lin­guag­gio va usa­to co­me nel­la poe­sia, per crea­re im­ma­gi­ni e sta­bi­li­re con­nes­sio­ni. Hei­sen­berg ca­pi­rà pre­sto che non si può pre­ten­de­re che la real­tà si la­sci «am­man­si­re dai con­cet­ti fa­mi­lia­ri del lin­guag­gio de­gli uo­mi­ni» e che bi­so­gna per­tan­to, co­me fan­no i poe­ti, «su­pe­ra­re all’in­fi­ni­to le ri­sor­se del­la lin­gua per di­re ciò che non può es­se­re det­to». Le pa­gi­ne più af­fa­sci­nan­ti del suo sag­gio fi­lo­so­fi­co del 1942 ri­ma­sto ine­di­to, Or­di­na­men­to del­la real­tà, so­no de­di­ca­te pro­prio a que­sto te­ma. Ogni co­no­scen­za, os­ser­va Hei­sen­berg, ha un ca­rat­te­re “oscil­lan­te” tra due estre­mi com­ple­men­ta­ri e si­mul­ta­nea­men­te ir­rea­liz­za­bi­li: la pre­ci­sio­ne dei con­cet­ti e la lo­ro pre­gnan­za, la con­ca­te­na­zio­ne lo­gi­ca e la vi­vez­za del­la parola, l’idea­liz­za­zio­ne e la real­tà. Al­la fi­ne, del­le co­se ul­ti­me non si può che par­la­re per me­ta­fo­re, o con l’astra­zio­ne ma­te­ma­ti­ca, an­ch’es­sa in fon­do una sor­ta di me­ta­fo­ra.
A Got­tin­ga, in oc­ca­sio­ne del lo­ro pri­mo in­con­tro, Bohr spie­ga al gio­va­nis­si­mo Hei­sen­berg, an­co­ra stu­den­te, che la sua vo­ca­zio­ne di fi­si­co è an­che una vo­ca­zio­ne di poe­ta, per­ché nel mon­do de­gli ato­mi il lin­guag­gio va usa­to co­me nel­la poe­sia, per crea­re im­ma­gi­ni e sta­bi­li­re con­nes­sio­ni. Hei­sen­berg ca­pi­rà pre­sto che non si può pre­ten­de­re che la real­tà si la­sci «am­man­si­re dai con­cet­ti fa­mi­lia­ri del lin­guag­gio de­gli uo­mi­ni» e che bi­so­gna per­tan­to, co­me fan­no i poe­ti, «su­pe­ra­re all’in­fi­ni­to le ri­sor­se del­la lin­gua per di­re ciò che non può es­se­re det­to». Le pa­gi­ne più af­fa­sci­nan­ti del suo sag­gio fi­lo­so­fi­co del 1942 ri­ma­sto ine­di­to, Or­di­na­men­to del­la real­tà, so­no de­di­ca­te pro­prio a que­sto te­ma. Ogni co­no­scen­za, os­ser­va Hei­sen­berg, ha un ca­rat­te­re “oscil­lan­te” tra due estre­mi com­ple­men­ta­ri e si­mul­ta­nea­men­te ir­rea­liz­za­bi­li: la pre­ci­sio­ne dei con­cet­ti e la lo­ro pre­gnan­za, la con­ca­te­na­zio­ne lo­gi­ca e la vi­vez­za del­la parola, l’idea­liz­za­zio­ne e la real­tà. Al­la fi­ne, del­le co­se ul­ti­me non si può che par­la­re per me­ta­fo­re, o con l’astra­zio­ne ma­te­ma­ti­ca, an­ch’es­sa in fon­do una sor­ta di me­ta­fo­ra.
Re­ci­ta­no i ver­si del mi­sti­co su­fi Al Nif­fa­ri, po­sti in eser­go al ro­man­zo: «Tra la parola e il si­len­zio c’è un ist­mo in cui si tro­va­no la tom­ba del­la ra­gio­ne e la tom­ba del­le co­se». È il ter­ri­to­rio in cui Hei­sen­berg si è inol­tra­to con il suo prin­ci­pio e, in un cer­to sen­so, lo sce­na­rio di tut­ta la sua vi­ta, che Fer­ra­ri ci re­sti­tui­sce in for­ma nar­ra­ti­va con gran­de sen­si­bi­li­tà.
Re­ci­ta­no i ver­si del mi­sti­co su­fi Al Nif­fa­ri, po­sti in eser­go al ro­man­zo: «Tra la parola e il si­len­zio c’è un ist­mo in cui si tro­va­no la tom­ba del­la ra­gio­ne e la tom­ba del­le co­se». È il ter­ri­to­rio in cui Hei­sen­berg si è

sabato 26 novembre 2016

eventontology — poiesix dell’esserci

eventontology — poiesix dell’esserci

s7fvupy7mtw5q — Write.as

s7fvupy7mtw5q — Write.asMetatopología.. È creatrys creA Creatività'creò crea EVENTO Di risonanza PanEVENTO crea in Sé è nullità PanEVENTUAl di là'EVENTOntOlOgy. Crea L''EsserEVENTO CRea PANEVENTO D'exstaSi L'in sé crea là metaspaziotempora exstatica RaduRa nulla. EvenTEkxstasi crea EVentuxd'Exstasi crea CreodoeVento creaEVENTO nel nulla CRea RaduREVENTO CrEaleggia Già MetaEVENTO vi è crea in sé CReA EVENTO in Sé già crea già là creatività crea Di sé crea'artEVENTO. L'exstasEVENTO KataEVENTO exstasità è in sé. MetaEVENTO exstatica È RadurEVENTO Creatività'EVENTO creA Là IN sé catastroF'è creatività In sé già crea Creatività'EVENTO KataEVENTO PanEVENTO Nulla'è EVENTO creA EVENTO crea eventità dal nulla Poesia-dell'esSere è poesità-eventessere è qui. grande sintesi poetica è emersa. E 'del tutto inutile discutere quante mani hanno lavorato sul Cantico dei Nibelunghi perché è chiaro che molte poesie sono diventate una sola opera. Le ultime ricercatori affermano che la figura del Rùdiger è stata la finale aggiunta aggiunta di un quinto poeta. Tuttavia, questo era un grande artista. In tutto il mondo della letteratura si cercheranno invano per una personalità di così semplice grandezza interiore come quella incarnata nel mito della 20 ° secolo 70 Margravio Rudiger. Si è costretti a riconoscere la forza spirituale e il potere che esiste in questo nuovo personaggio. spicca fra tutti il ??giuramento di fedeltà alla sua regina, la costituzione in pegno del suo onore virile che deve trionfare su tutte le altre forme. Ha affrontato i vecchi amici, gli ospiti i quali ha guidato tutto il territorio e per il quale ha garantito protezione. Ha affrontato anche la promessa sposa di sua unica figlia. Così Rudiger prese morte consapevolmente su di sé con una volontà di ferro, anche se, con l'inermità di Etzel e Kriemhilde, una tentazione forte ancora è cresciuto a rompere la sua parola. L'idea di onore divenne la forza che ha motivato tutte le sue azioni. Si dovrebbe anche prendere in considerazione in questo riferimento la figura di Achille, uno dei più scintillanti realizzazioni eroiche di tutti i tempi, ma che, a causa di un affronto personale, ha lasciato tutto il suo popolo, senza un leader. Consideriamo poi il margravio Rudiger, il quale, prima che la sua battaglia fino alla morte, ha presentato il suo scudo a un avversario al fine di confrontarsi con lui in armatura completa. Si può stimare l'abisso che esiste qui tra figura e contenuti. Le anime dei due popoli di tipo diverso sono al lavoro, sia di chi ha trasformato la natura in arte. Quello ha permesso i suoi uomini a piangere ea ridere, amore, odio e compiere azioni eroiche, ma non ha fatto la volontà in un potere tutto motivante; ha lasciato fuori la personalità come il fenomeno shaping, e lo ha applicato tutto l'amore per il mondo esterno. Con parola o scalpello, ha creato un'arma meravigliosa per trasmettere la bellezza; d'altra parte, l'arte nordica immerso nelle più profonde viscere della volontà umana e raccolse tutte le potenze dell'anima in un tutto verso l'interno, artisticamente condizionata, senza concedere bellezza formale il peso decisivo. Anche i più grandi opere degli uomini mostrano un punto debole - anche la Canzone dei Nibelunghi. Il rapporto di Sigfrido di Brunilde non è stato così completamente ben radicata nella versione attuale come lo era nelle vecchie tradizioni. Questo rapporto ha trovato la sua interpretazione finale nel Edda. Il Lay della morte di Sigfrido è una delle massime espressioni della natura germanica. E 'il canto d'amore, la fedeltà, l'odio e la vendetta. Si deve cessare quanto riguarda questi poeti della nostra storia molto presto come i responsabili versi goffi, come è il caso del solito. Nonostante tutto il riconoscimento condiscendente dai nostri esperti di estetica, ci sono grandi personaggi di queste poesie. Dobbiamo riconoscere questi autori tra le fila dei più grandi artisti creativi di tutto il mondo. Solo un artista crea veri e propri personaggi, personalità vivente. Così, figure che sono rimaste un'allegoria senza tempo della nostra natura nel corso dei secoli, non può che essere il risultato di genio artistico e potere formativo. Nessun eroe nobile potrà mai stare in piedi sotto il sole di terra che tu solo, Siegfried. Comprendiamo Goethe quando dice: Homeros scrive con una purezza prima che uno è sgomento - un'osservazione che, di fatto, smentisce le sue altre confessioni di armonia. Crediamo che siamo in possesso di un apprezzamento del controllo artistico sé e della grandezza epica di Homeros. Abbiamo ragione se pensiamo della potente creazione della Canzone dei Nibelunghi come grande arte. Se Homeros è stato riconosciuto come uno dei più grandi artisti di tutti i tempi e di tutti i popoli, allora è il momento di pensare anche della Canzone dei Nibelunghi nello stesso modo. Così, come allegorie dell'arte folk, i due poemi si levano in piedi uno di fronte all'altro. Ci si rivolge più verso la nascita interiore della forma chiara. L'altra lotta con la tragica epopea di lotta spirituale. Homeros padronanza del materiale, i poeti della canzone dei Nibelunghi - e creatori di tutte le poesie germanici - il contenuto spirituale. Questi diversi obiettivi sono condizionati dal temperamento e riflessioni. Le grandi opere d'arte di culture diverse non possono essere misurati con uno e lo stesso standard. Quindi si ha la necessità diverse filosofie di arte per ciascuna, al fine di rendere giustizia ad ogni tipo essenziale. Così come non si può avvicinare Michael Angelo con lo standard utilizzato da Fidia, né si può utilizzare un solo standard quando contrasta l'epica ellenica con il tedesco. Entreremo in singoli dettagli più tardi. riflessioni precedenti, tuttavia, ora portano ad un altro fatto che non è solo universalmente trascurato da esteti, ma che è categoricamente negato da loro: l'esistenza della volontà estetica. La negazione di un tale volontà è forse il capitolo più vergognoso dell'estetica tedesca. Ci sono prove significative per dimostrare che gli artisti europei hanno lottato per raggiungere il contenuto spirituale e la forma. I professori di estetica hanno ignorato questo fatto. E 'stato un dogma che l'arte era preoccupato solo con sentimenti apparenti, una sorta di nebulosa bellezza, in aumento, non toccata dalla vita, dagli studi polverose di studiosi. Per il bene della morale della volontà è stato rivestito con uno scudo protettivo che protetto da tale follia. Richard Wagner scrisse per Mathilde Wesendonck: Loro sanno che quelli come noi guardare né a destra né a sinistra, né avanti né indietro. Il tempo e il mondo sono indifferente a noi e solo una cosa che ci determina - la necessità per la liberazione della nostra volontà. Balzac confessò in cugina Bette: il lavoro costante è la legge dell'arte come della vita, per l'arte è idealizzato creazione. I grandi artisti, i poeti completi, attendono né il comando né ispirazione. Essi danno vita oggi, domani, sempre. Da questo segue l'abitudine del lavoro, questa costante conoscenza delle difficoltà che li mantengono in concubinato permanente con la Musa, con il potere creativo. Tali pensieri, purtroppo,Non sono giunte alle orecchie dei nostri filosofi di estetica. E 'giunto il momento di stabilire la presenza della volontà estetica creativa. Esiste in entrambi gli artisti e coloro che commentano la loro arte. In presa di coscienza della scelta del contenuto spirituale, e nel desiderio della volontà, l'essenza del concetto occidentale Nordic di bellezza si rivela. Esso non può essere compresa attraverso la biologia. Si può intendere soltanto. L'essenza dell'esistenza umana è, corporale e spirituale, una sempre rinnovata assimilazione di materiale che penetra dall'esterno e che viene fabbricato dalla nostra volontà. La volontà formativa e lo spirito cogliere l'ambiente e il mondo interiore. Tale processo formativo è in gran parte fatto attraverso la percezione, ma può anche essere codetermined con un atto di volontà, se questo porta al santo, ricercatore, pensatore, statista o artista. Ogni forma è un atto. Ogni azione è essenzialmente una scarica di volontà. La nostra ricerca in psicologia dell'arte si occupa quasi esclusivamente di come apprezziamo e come contempliamo l'arte. Essi ritengono che questa ricerca è corretta e giustificata, ma sappiamo che dobbiamo andare oltre la loro ricerca se vogliamo scoprire la volontà artistica. Prima motoria e sensoriale, influenze emotive e intellettuali di un'opera d'arte può essere discusso, il nostro punto di partenza deve essere chiaramente stabilita. La legge del moto perpetuo è valida non solo nel fisico, ma anche in quella spirituale, regno. Esso ci appare come evidente che la volontà eroica è irrequieto e crea più di se stesso. I nostri studiosi fanno sforzi particolari per scoprire l'energia iniziale di un fenomeno religioso o politico. Enormi volumi sono scritti in modo da collegare la struttura di pensiero dei nostri tempi con particolari pensatori del passato. Questo Il mito del 20 ° secolo 7 1 attività da professori di filosofia è, anche se, spesso considerata come la filosofia, così importante non apparire. Sistemi di estetica sono esattamente studiate e documentate. Arte e artisti sono stati quasi completamente dimenticato nel processo. Un'estetica speciali dovranno essere costruite per loro che studierà l'ovest nordico. Può guardare a sud-est, o verso le nuvole, e applicare i nostri standard di valore per tutta l'arte europea. Che cosa è stato che ha spinto Beethoven di correre intorno a Vienna durante una tempesta? - Di stare improvvisamente ancora, dimentichi del mondo? - A battere un ritmo con i pugni? Che cosa l'ha costretto il povero Rembrandt a stare al suo tela fino a quando non letteralmente crollato? Ciò che provocò Da Vinci per indagare i segreti della forma umana? Che cosa ha spinto Ulrich van Ensingen a fare progetti per le sue chiese? Precisamente, non era niente altro che artistica, volontà estetica. Si tratta di un potere che, a fianco della eroica e morale, deve essere riconosciuto come un enigma primordiale se vogliamo andare oltre il livello dei nostri insegnanti delle scuole superiori di estetica. Da nessuna parte è la recrudescenza della volontà nell'arte è apparso così distintamente come in Occidente nordico. Dobbiamo sottolineare questo con la massima chiarezza, perché il grande atto peccaminoso del 19 ° secolo era in omettendo questo fatto. Dentro di sé, la greca ha partecipato a un atto di volontà nell'ora della nascita della sua arte. C'è una leggenda greca che racconta di un artista che amava il suo lavoro con tanta passione che il suo amore ha trasformato in pietra morta in pieno la vita a sangue. Il credo di una volontà estetica universalmente plasmare è stabilito in questo mito. I dipinti sul Partenone, la danza greca e la musica greca perduta (da cui tutte le altre muse derivano il loro nome) resa udibile il tuono della volontà molto prima di quanto si presentava ai nostri giorni. sensibilità estetica indica un sentimento di gioia. umore estetica è la contemplazione priva di desideri, privi di desideri, in cui il soggetto puro della percezione si pone in oggettività senza macchia. Così recita l'insegnamento di Kant e Schopenhauer di dell'estetica. Novantanove su cento filosofi dell'arte hanno dato scritta nello stesso modo. Che costituiscono la base del loro giudizio era il dogma che ha condannato tutta la nostra estetica alla sterilità: l'incredibile affermazione che una volontà estetica non esisteva. In caso contrario, gli avversari amareggiati si sono trovati uniti con questo. Il fatto è che dietro ogni opera d'arte, così come dietro ad un credo religioso, vi è una forza attiva di lavoro. Questo fatto è stato generalmente trascurato. Questa assurda affermazione nostri esteti dovuto riferimento alle prospettive, alle idee, ai concetti, alle dissezioni del sentimento della bellezza. E 'ignorato il fatto che una volontà sagomatura si trova in fondo a ogni creazione artistica. Si è concentrato nel lavoro e richiede una potente azione dell'anima. Senza una tale volontà, anche tutte le altre sforzi sono vani. Nel campo dell'arte sperimentiamo uno sviluppo parallelo a una visione religiosa del mondo. Un'anima razziale istinto crea opere di un talento, specie uncaptivated. Ci vuole una presa di vasta portata sul suo ambiente, e altera autocratico le sue linee di alimentazione. Quando Wotan stava morendo e abbiamo cercato nuove forme, Roma è apparso sulla scena. Quando il gotico aveva finito la sua ancora di salvezza, diritto romano e preti umanisti d'arte è apparso che hanno cercato di mettere in ginocchio noi mediante l'applicazione di nuovi standard di valore. Con la riscoperta di Platone e Aristotele, con le prime scoperte di opere d'arte ellenici, lo spirito nordico, in un periodo di ricerca, colto al volo l'arte ritrovata, ma con essa anche la sua fine falsificazione romana. Sappiamo che l'antico ideale greco della bellezza non corrispondeva al Nordic, che era prevalentemente il sangue del suo sangue. Tuttavia, questa bellezza greca era particolarmente una prova di una cultura al riparo. Tra un divise, persone individualiste, l'idea greca di arte ha fornito una certa stabilità, un mito comune. La bellezza fisica non è mai stato il valore più alto del West Nordic così come la volontà formativo che si manifesta come l'onore e il dovere (Federico e Bismarck), come il dramma di un'anima (Beethoven, Shakespeare) e, come l'atmosfera concentrata (Leonardo, Rembrandt). Ciò nell'arte, irto di potere, è stata presentata nel 15 ° secolo, con uno standard di estetica proveniente da un ambiente completamente diverso. Il Rinascimento mostra la lotta tra l'istinto e la nuova idea di arte come con i riformatori in campo religioso. Dopo il 16 ° secolo, pulsante di vita, nel nord Italia, e la penetrazione del Barocco, il valore più alto greca apparente ha guadagnato sempre più importanza. I risultati delle ricerche in antichità greche (gemme, vasi, vari dipinti e ritratti) hanno mostrato che sono stati fatti sotto gli auspici di una estetica universali. forme greche sono stati valutati come puramente umana. Poi nasce la dottrina della contemplazione privo di volontà, seguita dalla negazione della volontà estetica. Il mito greco di armonia e di riposo voluta oscurato l'istinto germanica - la voglia di potenti confessioni personali di fede e lo scatenamento della volontà. Questa scissione è durata fino ad oggi e solo modestamente fare nuove prospettive appaiono di tanto in tanto. Anche se la nostra estetica erano palesemente norme tratte da Grecia, si ritiene con orgoglio si potrebbe supporre che le sue caratteristiche principali erano universalmente puramente umano. Come in stato di vita, così anche nell'arte accademica, sono stati accettati due archetipi della vita culturale: l'individualismo e universalismo. Questo è stato un orientamento spirituale che spiegava l'ego e dei suoi interessi, come il punto di partenza e finale di pensiero e di azione, e che ha voluto anche per organizzare questo stesso ego nelle leggi di universalità. La cosa pericolosa in questa classificazione apparentemente illuminante di tipi consisteva nel causare l'universale evaporare nell'infinito. Universalismo, solo superficialmente splendida, ha portato prima alla chiesa mondo internazionale, allo stato mondo, e più tardi, per marxista internazionale, e anche per l'umanità democratica di oggi. L'universalismo come un archetipo fondamentale della vita è dunque altrettanto sterile come l'individualismo. Il risultato, nel caso di vittoria di uno o l'altro di questi due visioni del mondo, deve necessariamente essere il caos. L'individualismo si avvolge volentieri nel mantello universalista che si presenta come una buona, morale e innocuo. La questione è rappresentata in modo diverso quando entrambi individualismo e universalismo sono legati l'uno all'altro. Ego, la razza e le persone sono il presupposto della sua esistenza. Ogni significa l'unica possibilità di salvezza la sua secolare. Ma allo stesso tempo, la generalità che coincide con la razza e la gente trova il suo limite biologico. L'individualismo e universalismo sono, per loro stessi, linee rette nell'eternità. Correlati a correre e persone, sono ritmicamente scorrono poteri, alternando avanti e indietro, in piedi al servizio dei comandamenti razziali, rendendo la creazione possibile. Questa interpretazione dinamica universale della vita deve trovare il suo contrappunto nello studio dell'arte occidentale. In arte, ci sono quindi tre prerequisiti organici a questo studio su cui, in futuro, tutti i estetica europea si deve basare se quest'ultimo vuole essere un collegamento utile nella vita del risveglio West Nordic. Ci sono: L'ideale razziale Nordic di bellezza; la dinamica interna dell'arte europea, quindi, contenuto come un problema di forma; e il riconoscimento di una volontà estetica. Questi presupposti ci sembrano portare a discussioni riguardanti le conseguenze di aggiustamento verso l'interno per il problema dell'arte e alla nozione divulgativa dell'insegnamento di Schopenhauer sulla volontà. Fino a quando questo è superato, non si può parlare di chiarificazione - non solo in materia di arte - e l'essenza della condizione estetica può essere visto per essere capito né istintivamente né consapevolmente. Il mito del 20 ° secolo 72 Capitolo II. L'amore e le parole Honour Kant, oggi purtroppo ridotte a banalità, che il cielo stellato sopra di noi e la legge morale dentro di noi costituiscono la nostra esistenza senza rapporto di causa ed effetto, rivelano una affermazione profonda a una visione del mondo basata sulla polarità e ad un sensazione dinamica della vita. In realtà, non è vero europeo è mai stato in grado di esistere in modo creativo al di fuori questo presupposto di base, anche se in molti, il desiderio per l'eliminazione degli opposti - per il riposo, per una visione statica della vita, e per il monismo - ha avuto un enorme forte. Niente è più tipico di questo desiderio e nulla dimostra l'impossibilità di monismo per noi più chiaramente che il caso di Arthur Schopenhauer romantico, che credeva di poter dominare la piena dinamicità sangue della sua natura con la spada flessibile della ragione. Ha rotto verso il basso nel tentativo. La sua spiegazione del mondo come correlata alla volontà di lui divorziato dal pensiero indiano che egli credeva di poter equiparare con la propria, anche se gli indiani non hanno considerato la salvezza come un atto di volontà, ma di cognizione. potente tentativo monistico di Schopenhauer ad una rappresentazione del mondo come volontà e rappresentazione, tuttavia, rivelato una procedura, la conoscenza e la valutazione di che è fondamentale per la nostra visione del mondo, e, non meno, per la nostra comprensione della natura della nostra arte . Oggetto e soggetto sono necessarie correlazioni tra loro. Ecco il punto: la percezione di una polarità. Il punto da cui Schopenhauer procede. Da qui, si gira, da un lato, contro l'idealismo dogmatico che non riguarda il principio di causalità come caratteristica dell'uomo, ma come una qualità essenziale della cosa in sé che produce l'oggetto. D'altro canto, respinge materialismo che rende sforzi per rappresentare l'attività concettuale da parte del soggetto come il risultato di forme ed effetti di materia. E 'la grande colpa di materialismo che procede da ciò che è oggettivo, perché l'oggetto è condizionato dal soggetto e le sue forme di vedere le cose, e, quindi, non è un assoluto. Altrettanto, si potrebbe considerare la materia come una modifica della percezione del soggetto. Così Schopenhauer si pone tra realismo dogmatico e l'idealismo dogmatico. Ha preso il suo punto di partenza né dal soggetto né dall'oggetto, ma da l'idea come primo atto di coscienza. Era d'accordo con la dottrina di Kant della idealità di spazio, tempo e causalità, come pura, cioè, non empirico, le categorie della mente, che fanno esperienza possibile. Tutti i suoi sforzi nel primo libro del suo principale mossa opera direttamente verso dimostrando questo: che, se si considerano la materia come una cosa in sé e cerca di spiegare l'argomento da questo, allora i risultati flaccida materialismo. Se, invece, si vede il soggetto come un assoluto, quindi IDEALISMO risultati. Se si separa oggetto e soggetto, risultati dualismo. Se si afferma che entrambi sono uno e lo stesso, risultati Spinozaism. Tutte queste sono prospettive dogmatiche, contro il quale si sa solo oggetto e il soggetto come due correlati, cioè, essendo / oggetto. Siamo in possesso di due intelletti; la comprensione - la capacità di percezione del nesso causale (che abbiamo in comune con gli animali) - e la ragione, la capacità di astrazione (che è dato a noi da soli). La funzione della comprensione è la formazione delle percezioni - l'attività della ragione, nella formazione di concetti da cui si sviluppano la nostra lingua, la scienza e la nostra intera gamma culturale. La ragione è di natura femminile; Si può dare solo dopo che ha ricevuto. Questo indica il dogma fondamentale della filosofia schopenhaueriano: ragione è una funzione del cervello. Il mondo è smascherato come un fenomeno del cervello. Pensando è quindi un processo di separazione analoga a quella della secrezione di saliva. L'opera della ragione consiste nel fornire la conoscenza dei giudizi astratti. significa sapere di avere tali sentenze la potenza del suo spirito per la riproduzione involontaria che hanno la sufficiente grado di percezione di qualsiasi cosa al di fuori di loro. L'oggetto è quindi un'idea come appare a noi nelle forme concettuali di tempo, spazio e causalità. Tutto è in queste forme e tutto ciò che passa attraverso di loro. Come risultato, la visione del mondo è rigorosamente chiuso e una lacuna sembra essere stato lasciato nulla in modo che si potrebbe salire o raggiungere fino ad una terra primordiale. Ma Schopenhauer trova ancora un altro lato del mondo. Esaminando la nostra ragione, passato e futuro, e la morte certa della coscienza, la questione deve essere sollevata per quanto riguarda il dove e da dove l'uomo, per quanto riguarda la natura del tempo e della coscienza individuale. Schopenhauer, che in precedenza ha dato l'assicurazione che tutto il mondo fosse tutto e per tutto idea, scoppia dei suoi limiti auto imposti. Ma ciò che ci spinge a indagare è particolarmente che non ci soddisfa a sapere che abbiamo le idee, che sono così e così, e hanno una connessione con questo e che il diritto di cui l'espressione generale è di volta in volta il principio di causalità. Vogliamo conoscere il significato di queste idee. Ci chiediamo se questo mondo non è altro che un'idea, nel qual caso sarebbe passato su di noi come un sogno inconsistente, indegno della nostra attenzione; o se può tuttavia essere qualcosa di diverso, qualcosa in più, e che questo in realtà può essere! Nessuno fino ad ora è stato in grado di dare più di una risposta puramente negativo, una risposta che era completamente astratto, privo di contenuto e limitato - Il nous di Anassagora, l'Atman degli indiani, la cosa in sé di Kant. Schopenhauer ora svelato questa cosa in sé come l'essenza interiore a noi noto nel modo più intimo come la volontà. Non si può arrivare a esso da idea, in quanto è molto più di una essenza, ed è completamente estranea alle sue leggi e le forme. La volontà può essere intuitivamente percepita solo. Man vorrebbe considerare i movimenti e le azioni del suo corpo nello stesso modo delle alterazioni di altri oggetti in relazione a provocare, stimoli e movente. Ma lui avrebbe capito solo i loro effetti come una connessione ad ogni altro effetto che gli appare con una corrispondente causa. Ma non è così, la parola sarà gli dà la chiave per il suo fenomeno, gli rivela l'importanza, gli mostra la forza motrice interna della sua natura, della sua attività, dei suoi movimenti. Il soggetto è quindi dato il suo corpo in modo duplice: In primo modo è idea, oggetto tra gli oggetti. E 'soggetto a determinate leggi. In un altro modo in cui viene rivelato attraverso ciò che è noto direttamente a ciascuno, che è ciò che descrive la parola. E: Ogni atto della volontà è contemporaneamente un atto di movimenti corporei, non come se quello può essere causa, l'altro effetto, ma sono una stessa portata alla coscienza in maniera diversa. L'azione del corpo non è altro che l'azione più obiettivo della volontà appare nella percezione. Io percepire il no come qualcosa di complesso e atti perfetti, ma solo singoli eseguiti nel tempo. Io quindi non riesco a immaginare la volontà. È senza tempo e nello spazio. È indipendente di idee. La volontà non è soggetta al principio di causalità. E 'priva di fondamento. Ha la stessa essenza di tutti i fenomeni. Secondo Kant tutto questo appartiene alla cosa in sé. Come tale, è libero, tuttavia, come fenomeno, è non libero, predeterminato. La libertà sta quindi dietro di noi, mai rivelato in azioni. Ne consegue che il nostro carattere empirico, come ci si avvicina nelle nostre azioni, è non libero e inalterabile. Esso rappresenta la forma oggettiva di oggetti che sono intelligibili. Il carattere empirico Il Mito del 20 ° secolo 73 si comporta alla intelligibile come fenomeno per la cosa in sé. Nella sua forma più profonda, la volontà si oggettiva nel istinto sessuale, in una volontà incondizionata di riprodurre. Si tratta di un eterno sforzo che desidera e che, dopo una breve soddisfazione, è guidato dal nuovo desiderio, seguendo queste caratteristiche diaboliche incessantemente e senza rimorsi. Non solo nell'uomo fa la volontà di noi avvicinarsi come la cosa in sé; è il momento di guida in tutta la natura. In realtà, si oggettiva più perfettamente di tutto nell'uomo. Se osserviamo il potente, l'urgenza inquieta con cui le acque affrettano nelle profondità, la persistenza con cui il magnete si trasforma ancora e ancora verso il polo nord, la violenza con cui i poli di elettricità si sforzano di riunire e che - in particolare come quelli di desideri umani - sono intensificati da opposizione; quando vediamo il cristallo rapidamente e improvvisamente tirare verso l'alto, allora sarà - secondo Schopenhauer - costare grande sforzo del potere immaginativo, anche da grande distanza, a riconoscere la nostra stessa natura, vagamente e tacitamente, ma non meno illuminante rispetto alla modo in cui i primi raggi di quota all'alba la luce del sole con il pieno mezzogiorno. Questa è la volontà. Di conseguenza, ci sono varie fasi di oggettivazione della volontà visto nelle forme di Platon. Sono quelle sezioni centrali che vengono inseriti tra i due mondi: idea e la volontà. Queste due forze stabilire un rapporto reciproco altrimenti incomprensibile. Così è una pluralità senza un principio di pluralità. Nella fase più basso, le forze universali della natura - gravità, impenetrabilità, rigidità, elasticità, elettricità e magnetismo - si mostrano. Sono anche, come la nostra volontà, senza fondamento, e, come quest'ultimo, soltanto i loro fenomeni individuali sono soggetti al principio di causalità. Sono una QVALITAS OCCVLTA. In una fase più elevata delle oggettivazioni della volontà, vediamo l'individualità appaiono sempre di più con l'uomo e bestia, soprattutto con l'ex. E 'qui che l'essenza dell'universo è rivelato. La lotta per l'esistenza fa sì che la volontà di farsi manifesto. La lotta universale in natura è visibilmente rivelato nel mondo animale che ha il mondo vegetale per il suo nutrimento, e nella quale, a sua volta ogni animale diventa la preda e il cibo di un altro. Un animale può solo mantenere la sua esistenza attraverso il costante eliminazione di uno sconosciuto - in modo che la voglia di vivere, senza eccezione, si consuma fino a quando, finalmente, la razza umana considera la natura come un prodotto per il suo utilizzo. Timoroso e folle è questo potere che - attraverso tanta diversità e le spese di forza e tanta sensazione di felicità sessuale, intelligenza e l'attività - ha solo una sensazione effimera e fugace di felicità nella copula e la soddisfazione di sazietà da offrire come un contrappeso. Sforzo e ricompensa stanno in alcun rapporto diretto con l'un l'altro. Ovunque, Schopenhauer vede privazione universale, non fermarsi mai, pressione costante, lotta senza fine Solo una volontà cieca potrebbe trovarsi in una simile situazione. In natura inorganica l'intero ricavato lotta della propria iniziativa. Questa lotta si basa sulle leggi inalterabili di causa ed effetto. Nel regno vegetale, movimenti seguono la stimolazione, cioè, le cause suscitano effetti che non sono identici. Infine, il motivo e la percezione appaiono come conduttori delle nostre azioni animali. Tutto questo avviene legittimamente. Nessun luogo è lasciato per la libertà della ragione. Ragione e le idee sono organi subordinati. La percezione di entrambi i tipi intuitivi e razionali emana dalla volontà ai più alti livelli di oggettivazione, dal momento che l'uomo ha bisogno necessariamente capacità diverse da quelle di natura inorganica. E 'quindi originariamente collocato completamente al servizio della volontà, anche se molto grandi uomini sono in grado di ritirarsi da questo giogo. funzioni di percezione unicamente come un chiaro specchio del mondo. Il mondo come idea è scaturita dalla volontà! Nonostante la prenotazione iniziale di Schopenhauer contro affermare una continuità causale, qui appare la causalità, anche se avvolta. I risultati sono i seguenti: la ragione è solo un riflesso, cioè, è una capacità femminile tutto e per tutto. Si è condizionata dalle nozioni che sono determinate necessariamente attraverso percezioni. La ragione è dunque non creativo. Noi siamo non libero. Le nostre azioni sono necessariamente determinate attraverso motivi, siano essi reali o immaginari. Il nostro carattere intelligibile la forma dietro gli uomini. Questo carattere è fuori di necessità. E 'innata nella vita ed è inalterabile. Così è soggetta al principio di causalità. La nostra ragione, sottosviluppati e prigioniero anche se può essere, può elevarsi e conquistare la nostra volontà demoniaca per eccesso di intelligenza come un soggetto potente di percezione. Possiamo superare la paura potere della volontà. Lo vediamo nel genio del vero artista, che, liberato della sua volontà, è in grado di rappresentare la natura pura oggettivamente. Si presenta così nel fenomeno della santità, una condizione in cui la ragione è riuscita a trasformare il passaggio dimenticanza estetico nella contemplazione willless permanente. Il santo vede attraverso l'illusione del mondo e nega la voglia di vivere. Il fine dell'uomo, nonostante i suoi sforzi e tormenti, è il nulla. Schopenhauer ha scritto: Prima degli Stati Uniti rimane, in ogni caso, solo il nulla. Ma ciò che si sforza contro questa dissoluzione nel nulla, vale a dire, la nostra natura, è infatti solo la volontà di vita, ma se volgiamo lo sguardo lontano dal nostro bisogno e guardare a coloro che hanno vinto il mondo, quelli in cui la volontà arriva piena conoscenza di sé, poi troviamo solo una transizione dal desiderare, per timore, verso l'ignoto. Invece di speranza unsatiated troviamo la pace che è superiore a ogni ragione. Una calma oceanica totale del cuore, c..Metatopology...