martedì 27 dicembre 2016
verità-dell'evento
lunedì 26 dicembre 2016
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eventontology — deked14f8y7we
meglio, la verità dell'evento che è rivelativa della verità dell'essere
... che sospende il tempo come se nel puro cristallo dell'evento raffigurato fosse
in opera l'eternità («as doth eternity»). ... Che la bellezza sia verità, e la verità
bellezza, è un'estasi del pensiero
martedì 20 dicembre 2016
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domenica 18 dicembre 2016
giacinto plexux di monderose · Swite
mercoledì 14 dicembre 2016
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13 Dicembre 2016
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13 Dicembre 2016
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13 Dicembre 2016
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13 Dicembre 2016
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13 Dicembre 2016
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12 Dicembre 2016
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martedì 13 dicembre 2016
(1) Giacinto Plexux Di Monderose
lunedì 12 dicembre 2016
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domenica 11 dicembre 2016
venerdì 9 dicembre 2016
giacinto plescia di monderose · Swite
mercoledì 7 dicembre 2016
lunedì 5 dicembre 2016
zi3us6p8ml9d7 — Write.as
mercoledì 30 novembre 2016
v05mztlh6affb — Write.as
impostazione del problema dell’essere – che la centralità dell’esserci trasforma rifiutando la vecchia nozione metafisica dell’essere
come semplice presenza: l’uomo non si pone di fronte all’essere come di fronte ad un oggetto, ma affronta il problema dell’essere a
partire da se stesso – e le modalità attraverso cui si realizza l’essere-nel-mondo. Questo stato si attua grazie alla compresenza di tre
fattori, cioè l’uomo vive la propria realtà attraverso tre tipi di esperienza: la “comprensione” (perché le cose si presentano all’uomo
sempre dotate di senso); il “discorso” (perché il rapporto fra l’uomo e le cose è sempre espresso attraverso il linguaggio); e la
“situazione emotiva” (perché l’uomo vive nel mondo sempre accompagnato da una tonalità
emotiva). L’esistenza, secondo Heidegger, può essere vissuta in due modi, quello autentico,
in cui si assume come orizzonte di ogni possibilità dell’esistenza il nostro “essere-per-lamorte”,
cioè il fatto che la morte è la possibilità più propria dell’esistenza, lo sfondo di ogni
esperienza realizzabile e di ogni progetto; e quello inautentico, in cui l’uomo nasconde a se
stesso la verità sul modo in cui vive nel mondo. Dall’analisi delle due forme di esistenza,
autentica ed inautentica, si scopre che la tonalità affettiva tipica dell’esistenza autentica è
l’angoscia, e il suo scopo è prendersi cura del mondo nella sua totalità, a partire dalle proprie
possibilità e dal proprio progetto. Il senso della cura, ciò che orienta la vita umana e da cui
essa non può prescindere è la temporalità, perché il progettare dell’uomo è esistere nel
tempo. La progettualità di cui Heidegger parla a proposito dell’esistenza è mondana e storica,
nel senso che l’uomo non può mai prescindere dalla propria situazione storica.
Nella visione heideggeriana, l’analitica esistenziale avrebbe dovuto essere solo un momento
preparatorio di un più vasto progetto filosofico che, però, non portò a termine, giudicandolo
sbagliato. D’altra parte, il pensatore non accettò mai per la sua filosofia la definizione di
“esistenzialista”, anche se la sua riflessione sarà importante per i teorici di questa corrente.
Contemporaneo di Heidegger, e come lui allievo di Husserl, fu Karl Jaspers, che pose alla
filosofia il compito fondamentale di “chiarire” l’esistenza, accettando anch’egli la nozione di
“situazione”, cioè la dimensione storica come condizione primitiva dell’essere. Lo sforzo di
questa attività chiarificatrice coincide con la tensione verso la trascendenza, che si manifesta
sempre in modo non esplicito, “in cifre”, come se fosse scritta in modo segreto. Lo
svelamento supremo di questa “cifra” è la fede, a cui l’uomo perviene dopo lo “scacco” subito
nelle “situazioni-limite”, quelle che rivelano la sua impotenza, in modo particolare quando diviene consapevole di non poter non
morire. In Francia, esponente di rilievo dell’esistenzialismo fu Gabriel-Honoré Marcel (uno dei maestri di Ricoeur che, come Jaspers,
ne accentuò la colorazione religiosa. Fra coloro che ne dettero, invece, una lettura laica, il più importante dei quali fu Jean-Paul Sartre.
Egli vedeva l’esistenza come una condizione di libertà assoluta e senza riserve, ma destinata inevitabilmente alla sconfitta proprio per
la sua caratteristica di permettere all’uomo di essere quello che vuole, senza dargli, però, alcun termine di riferimento. Il conflitto con
gli altri, la progettualità che si perde in un vuoto assoluto, la totale gratuità di ogni azione sono all’origine della “nausea” sartriana. A
questa visione, però, Sartre aggiunse, nel dopoguerra, una riflessione sul valore dell’impegno etico e politico per sconfiggere
l’alienazione, riflessione che culminerà nell’adesione critica al marxismo.
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martedì 29 novembre 2016
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lunedì 28 novembre 2016
(69) Giacinto Plexux Di Monderose
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domenica 27 novembre 2016
nn2cj7f25ga84 — Write.as
A dialogare a distanza con Heisenberg è uno studente di filosofia (alter ego dell’autore), che, alla vigilia della caduta del Muro di Berlino, deve affrontare un esame universitario sulle opere filosofiche dello scienziato tedesco. L’esame andrà male, ma il giovane, abbandonati gli studi umanistici e diventato un uomo d’affari, proseguirà nella sua frequentazione ideale del fondatore della meccanica quantistica, continuando a interrogarlo e a confrontarsi con lui. Il racconto che ne viene fuori ha una struttura discontinua, per balzi temporali, e non potrebbe essere diversamente, dato che «la nuova fisica […] ha fatto esplodere tutte le linee continue in una serie spezzata di avvenimenti discreti separati da oscuri baratri» e «forse neanche la linea del tempo è stata risparmiata». Saltando da uno stato quantico a un altro, incontriamo gli Heisenberg succedutisi nel tempo: lo scienziato insigne e celebrato, il patriota fedele alla Germania di Hitler, il leader del progetto nucleare nazista, il prigioniero a Farm Hall (dove i fisici tedeschi apprendono di essere stati battuti dagli americani nella corsa alla bomba atomica). Fino al Werner Heisenberg precocemente invecchiato del Dopoguerra, che riflette sul destino della scienza e dell’umanità: memorabile, e splendidamente rappresentato, è il suo incontro con Heidegger, nel 1953 a Monaco, dove i due – alla presenza di un altro grande e discusso intellettuale tedesco, Ernst Jünger – riflettono sulla tecnica (non più «prodotto di sforzi umani consapevoli», dirà Heisenberg, ma «evento biologico su larga scala… per sua natura sottratto al controllo dell’uomo»).
A dialogare a distanza con Heisenberg è uno studente di filosofia (alter ego dell’autore), che, alla vigilia della caduta del Muro di Berlino, deve affrontare un esame universitario sulle opere filosofiche dello scienziato tedesco. L’esame andrà male, ma il giovane, abbandonati gli studi umanistici e diventato un uomo d’affari, proseguirà nella sua frequentazione ideale del fondatore della meccanica quantistica, continuando a interrogarlo e a confrontarsi con lui. Il racconto che ne viene fuori ha una struttura discontinua, per balzi temporali, e non potrebbe essere diversamente, dato che «la nuova fisica […] ha fatto esplodere tutte le linee continue in una serie spezzata di avvenimenti discreti separati da oscuri baratri» e «forse neanche la linea del tempo è stata risparmiata». Saltando da uno stato quantico a un altro, incontriamo gli Heisenberg succedutisi nel tempo: lo scienziato insigne e celebrato, il patriota fedele alla Germania di Hitler, il leader del progetto nucleare nazista, il prigioniero a Farm Hall (dove i fisici tedeschi apprendono di essere stati battuti dagli americani nella corsa alla bomba atomica). Fino al Werner Heisenberg precocemente invecchiato del Dopoguerra, che riflette sul destino della scienza e dell’umanità: memorabile, e splendidamente rappresentato, è il suo incontro con Heidegger, nel 1953 a Monaco, dove i due – alla presenza di un altro grande e discusso intellettuale tedesco, Ernst Jünger – riflettono sulla tecnica (non più «prodotto di sforzi umani consapevoli», dirà Heisenberg, ma «evento biologico su larga scala… per sua natura sottratto al controllo dell’uomo»).
A dialogare a distanza con Heisenberg è uno studente di filosofia (alter ego dell’autore), che, alla vigilia della caduta del Muro di Berlino, deve affrontare un esame universitario sulle opere filosofiche dello scienziato tedesco. L’esame andrà male, ma il giovane, abbandonati gli studi umanistici e diventato un uomo d’affari, proseguirà nella sua frequentazione ideale del fondatore della meccanica quantistica, continuando a interrogarlo e a confrontarsi con lui. Il racconto che ne viene fuori ha una struttura discontinua, per balzi temporali, e non potrebbe essere diversamente, dato che «la nuova fisica […] ha fatto esplodere tutte le linee continue in una serie spezzata di avvenimenti discreti separati da oscuri baratri» e «forse neanche la linea del tempo è stata risparmiata». Saltando da uno stato quantico a un altro, incontriamo gli Heisenberg succedutisi nel tempo: lo scienziato insigne e celebrato, il patriota fedele alla Germania di Hitler, il leader del progetto nucleare nazista, il prigioniero a Farm Hall (dove i fisici tedeschi apprendono di essere stati battuti dagli americani nella corsa alla bomba atomica). Fino al Werner Heisenberg precocemente invecchiato del Dopoguerra, che riflette sul destino della scienza e dell’umanità: memorabile, e splendidamente rappresentato, è il suo incontro con Heidegger, nel 1953 a Monaco, dove i due – alla presenza di un altro grande e discusso intellettuale tedesco, Ernst Jünger – riflettono sulla tecnica (non più «prodotto di sforzi umani consapevoli», dirà Heisenberg, ma «evento biologico su larga scala… per sua natura sottratto al controllo dell’uomo»).
A dialogare a distanza con Heisenberg è uno studente di filosofia (alter ego dell’autore), che, alla vigilia della caduta del Muro di Berlino, deve affrontare un esame universitario sulle opere filosofiche dello scienziato tedesco. L’esame andrà male, ma il giovane, abbandonati gli studi umanistici e diventato un uomo d’affari, proseguirà nella sua frequentazione ideale del fondatore della meccanica quantistica, continuando a interrogarlo e a confrontarsi con lui. Il racconto che ne viene fuori ha una struttura discontinua, per balzi temporali, e non potrebbe essere diversamente, dato che «la nuova fisica […] ha fatto esplodere tutte le linee continue in una serie spezzata di avvenimenti discreti separati da oscuri baratri» e «forse neanche la linea del tempo è stata risparmiata». Saltando da uno stato quantico a un altro, incontriamo gli Heisenberg succedutisi nel tempo: lo scienziato insigne e celebrato, il patriota fedele alla Germania di Hitler, il leader del progetto nucleare nazista, il prigioniero a Farm Hall (dove i fisici tedeschi apprendono di essere stati battuti dagli americani nella corsa alla bomba atomica). Fino al Werner Heisenberg precocemente invecchiato del Dopoguerra, che riflette sul destino della scienza e dell’umanità: memorabile, e splendidamente rappresentato, è il suo incontro con Heidegger, nel 1953 a Monaco, dove i due – alla presenza di un altro grande e discusso intellettuale tedesco, Ernst Jünger – riflettono sulla tecnica (non più «prodotto di sforzi umani consapevoli», dirà Heisenberg, ma «evento biologico su larga scala… per sua natura sottratto al controllo dell’uomo»).
Oltre la spalla di Dio, nei giorni di Helgoland, A sinistra Werner Heisenberg nel 1953 a Monaco con Martin Heidegger (sotto) e Ernst Jünger a destra. Heisenberg vinse il Nobel nel 1932
Heisenberg scopre che la realtà, nei suoi aspetti più profondi, è inconcepibile nei termini della fisica tradizionale e dell’esperienza comune; si rende conto, con la disinvoltura tipica della giovinezza ma non senza una certa inquietudine, che «non rimangono vestigia del mondo descrivibili nel linguaggio degli uomini, c’è solo la forma pallida dei matematici, silenziosa e temibile, c’è la purezza delle simmetrie, lo splendore astratto della matrice eterna». Due anni dopo, tenta di rendere tutto ciò “visualizzabile” ( anschaulich) con il suo principio di “indeterminazione”, o di “incertezza” ( Unbestimmtheit è il termine originale tedesco), che dà il titolo al romanzo: la posizione e la velocità di una particella (e altre coppie di grandezze coniugate) non possono essere misurate simultaneamente con assoluta precisione; determinare esattamente l’una significa condannare l’altra alla totale vaghezza. Non si tratta di un impedimento sperimentale, ma di un limite intrinseco della natura e degli stessi concetti che usiamo per rappresentarla: una scoperta difficile da esprimere a parole, che «si rende di colpo comprensibile in un’equazione talmente semplice e concisa da mascherare la propria tossicità».
Heisenberg scopre che la realtà, nei suoi aspetti più profondi, è inconcepibile nei termini della fisica tradizionale e dell’esperienza comune; si rende conto, con la disinvoltura tipica della giovinezza ma non senza una certa inquietudine, che «non rimangono vestigia del mondo descrivibili nel linguaggio degli uomini, c’è solo la forma pallida dei matematici, silenziosa e temibile, c’è la purezza delle simmetrie, lo splendore astratto della matrice eterna». Due anni dopo, tenta di rendere tutto ciò “visualizzabile” ( anschaulich) con il suo principio di “indeterminazione”, o di “incertezza” ( Unbestimmtheit è il termine originale tedesco), che dà il titolo al romanzo: la posizione e la velocità di una particella (e altre coppie di grandezze coniugate) non possono essere misurate simultaneamente con assoluta precisione; determinare esattamente l’una significa condannare l’altra alla totale vaghezza. Non si tratta di un impedimento sperimentale, ma di un limite intrinseco della natura e degli stessi concetti che usiamo per rappresentarla: una scoperta difficile da esprimere a parole, che «si rende di colpo comprensibile in un’equazione talmente semplice e concisa da mascherare la propria tossicità».
Heisenberg scopre che la realtà, nei suoi aspetti più profondi, è inconcepibile nei termini della fisica tradizionale e dell’esperienza comune; si rende conto, con la disinvoltura tipica della giovinezza ma non senza una certa inquietudine, che «non rimangono vestigia del mondo descrivibili nel linguaggio degli uomini, c’è solo la forma pallida dei matematici, silenziosa e temibile, c’è la purezza delle simmetrie, lo splendore astratto della matrice eterna». Due anni dopo, tenta di rendere tutto ciò “visualizzabile” ( anschaulich) con il suo principio di “indeterminazione”, o di “incertezza” ( Unbestimmtheit è il termine originale tedesco), che dà il titolo al romanzo: la posizione e la velocità di una particella (e altre coppie di grandezze coniugate) non possono essere misurate simultaneamente con assoluta precisione; determinare esattamente l’una significa condannare l’altra alla totale vaghezza. Non si tratta di un impedimento sperimentale, ma di un limite intrinseco della natura e degli stessi concetti che usiamo per rappresentarla: una scoperta difficile da esprimere a parole, che «si rende di colpo comprensibile in un’equazione talmente semplice e concisa da mascherare la propria tossicità».
Sarebbe stato comodo, ma certamente banale, costruire una narrazione attorno alle tan- te suggestioni che parole come “indeterminazione” o “incertezza” (incastonati peraltro nella più enigmatica delle teorie fisiche) possono suscitare. Ferrari è scrittore troppo raffinato per cadere in questa trappola; né d’altronde si può pensare che il mondo degli atomi straripi a tal punto da scolorire e rendere sfumato tutto, compresi i pensieri, che «possono essere perfino contraddittori, ma non sono indeterminati». Il principio non è lo svolgimento di una metafora, ma un discorso sulle metafore, come unica alternativa che si offre a chi, guardando in fondo alle cose, «si rifiuta di risolversi al silenzio». Il vero tema del libro, in altri termini, è il linguaggio. Heisenberg è lo scienziato che più di qualunque altro ha inteso la propria ricerca – in maniera costante e sistematica – come un’esplorazione delle potenzialità e dei limiti del linguaggio, e il romanzo di Ferrari, sofisticato come il suo soggetto, e tuttavia ricco di pathos e di umanità, ce lo ricorda molto bene.
Sarebbe stato comodo, ma certamente banale, costruire una narrazione attorno alle tan- te suggestioni che parole come “indeterminazione” o “incertezza” (incastonati peraltro nella più enigmatica delle teorie fisiche) possono suscitare. Ferrari è scrittore troppo raffinato per cadere in questa trappola; né d’altronde si può pensare che il mondo degli atomi straripi a tal punto da scolorire e rendere sfumato tutto, compresi i pensieri, che «possono essere perfino contraddittori, ma non sono indeterminati». Il principio non è lo svolgimento di una metafora, ma un discorso sulle metafore, come unica alternativa che si offre a chi, guardando in fondo alle cose, «si rifiuta di risolversi al silenzio». Il vero tema del libro, in altri termini, è il linguaggio. Heisenberg è lo scienziato che più di qualunque altro ha inteso la propria ricerca – in maniera costante e sistematica – come un’esplorazione delle potenzialità e dei limiti del linguaggio, e il romanzo di Ferrari, sofisticato come il suo soggetto, e tuttavia ricco di pathos e di umanità, ce lo ricorda molto bene.
A Gottinga, in occasione del loro primo incontro, Bohr spiega al giovanissimo Heisenberg, ancora studente, che la sua vocazione di fisico è anche una vocazione di poeta, perché nel mondo degli atomi il linguaggio va usato come nella poesia, per creare immagini e stabilire connessioni. Heisenberg capirà presto che non si può pretendere che la realtà si lasci «ammansire dai concetti familiari del linguaggio degli uomini» e che bisogna pertanto, come fanno i poeti, «superare all’infinito le risorse della lingua per dire ciò che non può essere detto». Le pagine più affascinanti del suo saggio filosofico del 1942 rimasto inedito, Ordinamento della realtà, sono dedicate proprio a questo tema. Ogni conoscenza, osserva Heisenberg, ha un carattere “oscillante” tra due estremi complementari e simultaneamente irrealizzabili: la precisione dei concetti e la loro pregnanza, la concatenazione logica e la vivezza della parola, l’idealizzazione e la realtà. Alla fine, delle cose ultime non si può che parlare per metafore, o con l’astrazione matematica, anch’essa in fondo una sorta di metafora.
A Gottinga, in occasione del loro primo incontro, Bohr spiega al giovanissimo Heisenberg, ancora studente, che la sua vocazione di fisico è anche una vocazione di poeta, perché nel mondo degli atomi il linguaggio va usato come nella poesia, per creare immagini e stabilire connessioni. Heisenberg capirà presto che non si può pretendere che la realtà si lasci «ammansire dai concetti familiari del linguaggio degli uomini» e che bisogna pertanto, come fanno i poeti, «superare all’infinito le risorse della lingua per dire ciò che non può essere detto». Le pagine più affascinanti del suo saggio filosofico del 1942 rimasto inedito, Ordinamento della realtà, sono dedicate proprio a questo tema. Ogni conoscenza, osserva Heisenberg, ha un carattere “oscillante” tra due estremi complementari e simultaneamente irrealizzabili: la precisione dei concetti e la loro pregnanza, la concatenazione logica e la vivezza della parola, l’idealizzazione e la realtà. Alla fine, delle cose ultime non si può che parlare per metafore, o con l’astrazione matematica, anch’essa in fondo una sorta di metafora.
Recitano i versi del mistico sufi Al Niffari, posti in esergo al romanzo: «Tra la parola e il silenzio c’è un istmo in cui si trovano la tomba della ragione e la tomba delle cose». È il territorio in cui Heisenberg si è inoltrato con il suo principio e, in un certo senso, lo scenario di tutta la sua vita, che Ferrari ci restituisce in forma narrativa con grande sensibilità.
Recitano i versi del mistico sufi Al Niffari, posti in esergo al romanzo: «Tra la parola e il silenzio c’è un istmo in cui si trovano la tomba della ragione e la tomba delle cose». È il territorio in cui Heisenberg si è